La parte sud-orientale della Vallelonga, occupata dal territorio del Comune di Villavallelonga, si insinua, a guisa di cuneo, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo. In questo territorio si possono percorrere numerosi itinerari naturalistici non contaminati da insediamenti artificiali, né disturbati dal transito veicolare. Nel 1981 l’estensione boschiva di Villavallelonga è stata valutata di ettari 3856 su 7344, dei quali 1150 con fustaie di faggio, per una provvigione legnosa di metri cubi 524.060 (135,9 per ogni ettaro).L’esistenza del Parco è oggi una realtà che merita di essere conosciuta nei suoi presupposti storici, in modo da porre in luce il ruolo della popolazione locale che ha vissuto in un naturale isolamento, favorito dalla condizione feudale fino aI 1806, dalla barriera lacustre del Fucino fino al 1875 e dalla chiostra dei monti che si susseguono a corona, lungo le due convergenti catene della Vallelonga.Quest’area, qualificatasi negli ultimi tempi per il preminente valore naturalistico, consente di verificare la peculiare evoluzione dei criteri di riferimento dell’uomo col suo ambiente ed il cambiamento delle condizioni di vita e di lavoro, degli usi e dei costumi tradizionali.
Cessato il sistema feudale, la Marsica è stata interessata dal prosciugamento del Lago di Fucino e dalla costruzione delle strade obbligatorie che hanno avviato la conoscenza di questo territorio per lo più nascosto e sconosciuto. Un bel documento epigrafico del 1856 scolpisce il valore naturalistico del territorio di Villavallelonga. La piccola pietra, trovata nel centro storico, è ancora collocata sopra il portale n. 32 di Via Colle Quaresima e dice così: « AD HUNC COLLIS QUABRIGESIMALIS BALSAMINUM Aer ReSPIRANDUM ACCeSSI M.G.B. A.D. 1856 ». Il messaggio esprime il seguente significato: “Sono venuto a respiare quest’aria balsamica di Colle Quaresima”. Il primo personaggio illustre che in epoca moderna ha valorizzato le montagne del Parco è Vittorio Emanuele II, ultimo Re di Sardegna e primo Re d’Italia, denominato Re galantuomo e padre della patria. Da buon cacciatore il Sovrano era attento alla descrizione delle risorse dell’alta Marsica ed in particolare degli estesissimi e secolari boschi che nascondevano una copiosa selvaggina, peraltro poco insidiata dal cacciatori locali, a causa delle armi ancora assai rudimentali da questi possedute.
La ricchezza della fauna si esprime in molti toponimi della Vallelonga: agli orsi rimanda il Coppo dell’Orso, ai cervi rinvia la Valle Cervara, ai gattopardi (o lince da pardus) fa pensare il rotondeggiante Colle Pardo. Inoltre il torrente Carnello, oggi fossato di Rosa, doveva essere così chiamato perché traeva alimento dalle acque displuviali e sorgenti che segnalavano zone ricche di selvaggina. Nel 1872 il sovrano d’Italia aveva finalmente deciso di cacciare l’orso nelle montagne marsicane e i consigli comunali (Castellafiume, Balsorano, Collelongo, Villavallelonga, Lecce, Gioia, Pescasseroli, Opi) si affrettarono a deliberare, nella sessione di ottobre, di riservare la caccia grossa al re galantuomo e così fu istituita la Riserva di Caccia a Vittorio Emanuele II.I programmi di caccia prevedevano anche feste e musiche e l’itinerario più suggestivo veniva indicato nella traversata in mulattiera da Balsorano a Collelongo e da Villavallelonga a Pescasseroli. Dopo il 1878, il successivo re Umberto I non si mostrò interessato al mantenimento della riserva e la soppresse; ma, nel 1900, Vittorio Emanuele III, nuovo sovrano d’Italia, ripristinò la Riserva Reale e, nell’autunno del 1907, fu invitato a cacciare l’orso nel territorio di Villavallelonga. La popolazione aveva preparato grandi accoglienze e i cacciatori del luogo con le guardie regie avevano predisposto un dettagliato programma di caccia. La zona della battuta era stata individuata nel Vallone Martino, dove il Re si appostò dopo aver lasciato la propria vettura a motore alla fonte “Tricaglie” (al termine della strada per Pescasseroli, iniziata nel 1901, poi proseguiva con una mulattiera).Inoltratosi nella boscaglia con cavalli e guide, iniziò la battuta che non tardò a convogliare un bellissimo esemplare nell’area di osservazione del Re, ma il Sovrano rinunciò a colpirlo ed impedì che altri potessero farlo. La visita di Vittorio Emanuele III non mancò di soddisfare alcune richieste della popolazione locale, come il risarcimento dei danni causati al bestiame e l’interessamento perché il “postale” giungesse fino a Villavallelonga. Il 15 giugno 1908 si tenne una solenne cerimonia, con un discorso di Luigi Bianchi, per inaugurare alla fonte “Tricaglie” la pietra eretta in memoria dell’avvenimento:“Qui il giorno 8 nov. 1907 si fermò l’automobile ov’era il nostro Augusto Sovrano Vittorio Emanuele III diretto in queste sue reali riserve per la caccia degli orsi. Auspice l’illustre comandante delle caccie meridionali sig. Giuseppe Santo, il quale procurò a Villavallelonga questo supremo onore ed immenso gaudio. I cittadini con affettuosa sudditanza pongono questo ricordo 15 giugno 1908” (pietra poi distrutta al momento del passaggio dalla monarchia alla repubblica).Tuttavia, le spese per i danni crebbero copiosamente e, nel 1912, la Casa Reale rinunciò alla riserva, limitando, con un decreto dell’anno successivo, la sola caccia al camoscio.
La soppressione della Riserva di Caccia non poteva che comportare, in mancanza del rimborso dei danni, la necessità per i naturali del luogo di ridurre il numero degli animali ritenuti responsabili del danneggiamento, con l’ovvia conseguenza di un assottigliarsi inevitabile di tutta la fauna locale. Dalla statistica degli esemplari uccisi o catturati nel secolo che precede l’istituzione dell’Ente Parco è possibile cogliere il verificarsi di questo fenomeno. Dal 1921, con la costituzione dell’Associazione “Pro Montibus” e, dal 1923 con l’istituzione dell’Ente Autonomo del Parco Nazionale d’Abruzzo e del Consorzio per la Condotta Forestale marsicana, fu possibile avviare un diverso protezionismo e si ebbe “una novella prova delle buone disposizioni delle popolazioni del parco, le quali, con assoluta fiducia, hanno rimesso, in tal modo, la tutela dei loro maggiori interessi nelle mani dei dirigenti dell’ente autonomo” del P.N.A..I cittadini di Villavallelonga avevano molta fiducia che il Parco potesse concorrere a promuovere le iniziative turistiche e lo sviluppo economico del luogo; risulta, infatti, che il Sindaco, nel 1925, aveva comunicato all’Ente Parco il desiderio di alcuni cittadini di investire i propri diritti, in forma di contributo, per la costruzione di un albergo, impiegando nell’opera lire 300.000, ma la disponibilità manifestata non determinò il fattivo impegno dell’Ente. Negli anni successivi i naturali del luogo sono stati più volte rimproverati per l’eccessivo commercio della legna, che tuttavia era colpito dalla tassa comunale di esportazione, e così anche per la cattiva abitudine di tagliare gli alberi a m. 1,50 dal suolo che comportava la perdita di molto materiale.I Villavallelonghesi negli anni venti esportavano ogni anno circa 2500 metri cubi di legname ed altrettanti ne servivano per il consumo locale. Per non intaccare il capitale boschivo si cercò di tutelare le foreste «dall’ingordigia smodata delle popolazioni e tener fronte a tutte le deviazioni facili a sorgere nelle menti di gente ingenua ed abituata a considerare il bosco come suo», anche se la preoccupazione veniva manifestata da posizione ingrata e ingenerosa nei riguardi dei naturali del luogo. E’ sufficiente il riferimento ai documenti feudali per rintracciare le plurisecolari privazioni di questa gente che ha dovuto condurre una quotidiana lotta per la sopravvivenza, dettata dalle necessità esistenziali e non dall’ingenuità delle menti.
Piuttosto, è invece deprecabile il fenomeno più tardi osservato, quando le ditte forestiere, queste sì ingorde, hanno avviato quella che Loreto Grande chiamò “la strage degli alberi innocenti”. L’Ente Parco, dopo essere stato soppresso nel 1933, per il passaggio della gestione delle montagne all’azienda di Stato per le foreste demaniali, fu di nuovo istituito il 21 ottobre 1950. A differenza della prima istituzione, che mirava alla difesa della locale sottospecie endemica del Camoscio d’Abruzzo (Rupicapra ornata) e dell’Orso Marsicano (Ursus arctos marsicanus), nella legge che ricostituiva l’Ente Parco venivano indicate finalità non di solo tutela, ma anche di potenziamento della fauna e della flora e di conservazione delle speciali formazioni geologiche e delle bellezze paesaggistiche. I criteri di riferimento per un corretto rapporto tra l’uomo ed il suo ambiente di vita sono andati via via evolvendosi ed in questa area, qualificatasi per il preminente valore naturalistico, si attende di verificare la rinascita dei territori montani e delle comunità locali.
Tratto dal libro “Storia di Villavallelonga” del prof. Leucio Palozzi